“Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so” (S. Agostino, Confessioni XI, 14)
L’acqua è nel presente in molteplici modi: nel suo scorrere e nel suo restare, nell’essere libera di attraversare rocce e distese di terra o nel rimanere imbrigliata tra le pareti di un bicchiere o di un corpo. L’acqua è in grado di oscillare dal vapore al ghiaccio, per capriccio o per consapevole manipolazione di un “demiurgo”.
L’acqua non teme il fuoco più violento o il buio più fitto: si contrae, si modella, si diverte e sfida anche il pericolo più fatale. È spavalda e sbarazzina, antica e fumantina, domata e indomita, coraggiosa e testarda. A lei la donna si sente legata nella maternità, da lei l’uomo si sente attratto perché pugno e carezza.
Cercare l’acqua è come ripercorre la memoria di un passato non sempre decifrabile.
Lieve e cristallina, si accomoda sulle pietre di fiume, ne segue le forme, ne raccoglie la mineralità e la regala alle sponde poco lontane.
Sfiora erbe e fiori, alberi e spezie, svelandone i segreti amari e dolci, sapidi e piccanti… fino a restare per qualche momento trattenuta dalle loro radici. Ma, si sa, l’acqua non ha capelli da afferrare, né mani da agguantare, e così scivola via arricchita nuovamente.
L’acqua non ha profumi né alcun sentore di colori e sfumature. Eppure, in essa si specchiano cieli uggiosi e cerulei, costellazioni e pianti, animali e uomini: cattura gli umori del clima e restituisce sguardi vanitosi.
L’acqua non piange neanche quando scappa dal cielo come lacrime di nuvola. Non sa cosa sia la malinconia, ma conosce la gioia quando canta e ride con tonalità diverse: dallo zampillare di una rugiada allo scrosciare di cascata.
Non si ha memoria del primo bicchiere d’acqua, e sovente ci si dimentica che di essa siamo fatti. Eppure, qualcuno ha creduto nell’acqua in modo insolito. Forse ne è un amante, forse il poeta più ispirato, ma percorre la strada dell’essenzialità e della leggerezza che da essa ha preso spunto.
Il cammino è magari scontato, eppure complesso per forme e consistenze, spesso nascoste anche agli occhi più attenti. Ogni tappa verso l’acqua è segnata da ostacoli più o meno grandi che spostano l’obiettivo avvicinandolo o allontanandolo, a seconda dei “mostri sacri” e delle leggende che si devono sfatare.
Cercare l’essenzialità diventa così un gioco di equilibrismo, una sfida nella quale è difficile stabilire cosa si intenda per “tradizione e innovazione”.
L’acqua ha il suo peso in una cucina e in una cultura italiana che hanno fatto del “bollire la pasta” una disciplina, una tecnica e un discrimine del talento di uno chef. Tre molecole, H2O, sono considerate per lo più legge e mezzo, ma mai ingrediente. Eppure, c’è chi non ha avuto paura di compiere questo salto concettuale e superare le regole decodificate da tradizione, manuali e quaderni di madri e nonne votate al focolare.
Nasce tra Padova e Venezia l’acqua di Massimiliano Alajmo, che scorre gioiosa e ricca tra le mura del suo ristorante tre stelle Michelin Le Calandre. È “assecondata” in un divenire forse ovvio e non per questo banale, come un torrente che ne ospita il passaggio mai uguale a se stesso. Sì, perché l’acqua porta inscritta in sé la memoria della sorgente, l’anelito della foce e un futuro dalle sponde infinite.
In questo modo Massimiliano ha raccolto tutto il suo essere chef per farne la sorgiva dalla quale creare un’elegante e cristallina leggerezza che trae forza e senso dall’acqua.
Quelle tre molecole diventano ingrediente, mezzo, fine e musa ispiratrice dello chef padovano: nell’apparente assenza di una singolare materia prima vi è racchiusa quell’essenza e quella vita che noi stessi siamo.
Guizzano i piatti dal menu, sotto le dita dei commensali esattamente come nella mente di Massimiliano, in un incedere sicuro e pacato solo a un giudizio superficiale. E diventano regali piatti come Salata.in, dove l’acqua è naturalmente nei vegetali quali asparagi e radicchio di Treviso, nelle salse di mela e senape e nella mandorla lavorata con sola acqua e olio in una struttura soffice dalla sensazione lattica.
A quali isole di consapevolezza lo chef e l’uomo Massimiliano Alajmo sia approdato, non è ancora dato saperlo. Vi naviga però sicuro e forte del suo passato e dell’irresistibile calma e potenza che solo l’acqua sa dare ed esprimere. E come memoria porta inscritto in sé il principio e la fine di ciò che l’ha portato fino alla leggerezza e lo porterà oltre, fino al cuore dell’essenza. Se mai ve ne sia uno.
Claudia Orlandi